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La metodologia del learning by doing è stata teorizzata dal pedagogista e filosofo statunitense, John Dewey. Durante i suoi studi universitari all'Università del Vermont e alla Johns Hopkins University di Baltimora, Dewey venne influenzato dal pensiero dei due fondatori del pragmatismo, Charles Peirce e William James.
Secondo il pragmatismo, la conoscenza si raggiunge con le esperienze concrete, il pensiero è quindi un processo attivo che dipende da un comportamento e da una credenza. Durante i suoi anni di insegnamento all’Università di Chicago, egli applicò l’attivismo pedagogico, ovvero l’approccio che stimola l’apprendimento attraverso il fare, tramite l’istituzione della scuola-laboratorio: secondo Dewey, i discenti apprendono con maggiore efficacia quando hanno l’occasione di sperimentare e di essere protagonisti attivi.
La visione di questo approccio educativo considera:
In sintesi, secondo il pensiero di Dewey, il facilitatore si focalizza sulla conoscenza, modificando l’oggetto d’apprendimento e facendo sì che il discente interagisca con il mondo in maniera attiva. La formazione deve, quindi, prevedere l’ascolto attivo attraverso l’esperienza dell’attività concreta: questa metodologia didattica consente al discente di incamerare esperienze in grado di aiutarlo nella comprensione e facilitando le interazioni. Il learning by doing di Dewey rappresenta una nuova visione dell’azione formativa, dove l’idea di fondo è quella stimolare l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Come anticipato, un elemento chiave dell’approccio di Dewey nella formazione è l’esperienza: egli infatti propone una nuova definizione di questo concetto che appartiene alla filosofia sin dalle origini. A differenza l’empirismo classico, Dewey sostiene che l’esperienza non è la mera somma di dati sensoriali, e contrariamente a quanto afferma la psicologia sperimentale egli ritiene che sia impossibile scomporre l’esperienza in momenti successivi e distinti, così come non è auspicabile distinguere nettamente l’individuo dall’ambiente e lo stimolo dalla risposta.
Nello specifico quindi l’esperienza per Dewey è un processo e non il risultato di un semplice accumulo di conoscenze acquisite. Inoltre, nell’esperienza non è possibile distinguere il soggetto dell’esperienza dall’oggetto esperito: in questa dialettica, individui e ambiente si determinano e si modificano reciprocamente. Infine, Dewey non considera l’esperienza come attività isolata e singola: le esperienze sono sempre legate tra loro in un continuum e non sono un fatto individuale, bensì sociale.
L'approccio all'educazione di Dewey ha influenzato le successive teorizzazioni sulla formazione esperienziale: questa metodologia mette l’individuo al centro di un processo di apprendimento basato sull’analisi e risoluzione dei problemi.
In particolare, il facilitatore ha il compito di creare esperienze formative significative su cui il discente è chiamato a mettersi in gioco per acquisire conoscenze e competenze, facilitando la riflessione critica dell'individuo e la ripetizione di tali apprendimenti in contesti reali. L'approccio della formazione esperienziale quindi, attraverso la simulazione di un set di comportamenti reali, stimola il coinvolgimento emotivo che consente di memorizzare le conoscenze apprese.
Quali sono gli step di un apprendimento esperienziale efficace? L'educatore statunitense David Kolb ha sviluppato una metodologia formativa, chiamata Ciclo di Kolb, che considera l'apprendimento di nuove competenze un processo a spirale continua. Nello specifico, è composto da 4 fasi che consentono di acquisire e sviluppare competenze e abilità secondo un approccio circolare all'apprendimento:
L'approccio della formazione esperienziale permette quindi di raggiungere un apprendimento significativo ed efficace delle competenze, poiché si serve di attività formative dotate di analogie con la quotidianità e il contesto sia personale che lavorativo dei discenti.
Per riassumere, ecco di seguito i principali vantaggi dell'approccio esperienziale per la formazione aziendale:
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