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Qualsiasi azienda che si approccia al marketing digitale, ad un punto, si sarà chiesta: su quali canali online investire? Specie quando il budget da spendere non è immenso, capire come allocare le proprie risorse tra social advertsing, search marketing, campagne di programmatic adv, video marketing e simili diventa cruciale. Alla base, la preoccupazione è semplice: il timore è quello di sbagliare investimento, sprecando risorse, quando sarebbe stato possibile scegliere una strada pubblicitaria diversa e vedere risultati tangibili per il business aziendale.

 

Canali di advertising: esiste una strada pubblicitaria preferenziale?


Come immaginerai, la risposta è no. Ogni canale pubblicitario online è unico, al punto che per capire dove allocare il budget diventa necessario conoscerne almeno le differenze di massima. Scegliere l’investimento giusto spesso implica scegliere il canale che più di altri è “affine” alla nostra realtà aziendale: banalmente, un’agenzia di recruiting guarderà a LinkedIn diversamente - e con ben più interesse - rispetto ad un retailer. Ancora, una realtà molto “locale”, quale un ristorante o un hotel, guarderà al search marketing con una propensione diversa rispetto ad un portale editoriale.

 

Quale canale scelgo tra social advertising e search marketing?


La pubblicità sui social media e il search marketing (o, per meglio dire, search advertising, ovvero la parte del search marketing specificatamente “a pagamento”) sono sicuramente due delle forme pubblicitarie più in voga e diffuse. Eppure, social adv e pubblicità sui motori di ricerca non potrebbero essere canali più diversi: se il primo, infatti, distribuisce inserzioni ad una “domanda latente” (l’utente, infatti, viene raggiunto da contenuti sponsorizzati mentre “fa altro”, ovvero mentre naviga all’interno di un social media), la seconda si rivolge ad una “domanda manifesta”. Ciò significa che il search advertising mostra annunci ad un utente che, attivamente, sta ricercando soluzioni per le proprie esigenze all'interno di Google, Bing o altri motori di ricerca.
Precisata questa differenza di base, va da sé che il giudizio circa il canale di investimento non può non tenere conto della posizione del nostro utente ideale all’interno di un ipotetico funnel di acquisto: se l’utente non ha ancora manifestato chiaramente un bisogno ben definito, forse un’inserzione Facebook, capace di raggiungerlo “nascosta” all’interno di altri contenuti sul newsfeed dell'utente, potrebbe rivelarsi una scelta sensata. Al contrario, se l’utente sta già procedendo a testa bassa verso l’acquisto con ricerche di tipo transazionale, ecco che essere presenti con un annuncio AdWords potrebbe rappresentare la strada più redditizia.

 

Canali pubblicitari social: investo su tutti?


Altro errore sarebbe considerare i canali social come un’unica matassa. Non potrebbero, infatti, essere più diversi: basti pensare al ritorno che un brand B2B che vende soluzioni industriali o comunque prodotti “poco consumer” potrebbe avere dagli investimenti su LinkedIn. Al contrario, retailer, brand di moda, o società di servizi che si rivolgono ad un’utenza meno professionale e più volatile facendo advertising su LinkedIn potrebbero ritrovarsi a pagare costi per click elevatissimi (senza produrre i ritorni sperati) dimenticandosi di presidiare canali quali Facebook e Instagram, più accessibili e traversali. Investire su tutti i canali social indiscriminatamente, pertanto, rappresenta una strategia poco accorta, specie quando gli investimenti vengono fatti 50:50, senza badare alle peculiarità (anche di costo) che ogni social media presenta. Inutile sperare di avere CPC e CPM ai minimi su LinkedIn, inutile sperare, con un Facebook Ad, di ottenere un costo per risultato minore per un posizionamento sul newsfeed rispetto ad un posizionamento sull’Audience Network.

 

I banner display sono morti. L’e-mail marketing è morto.


Calunnia e sacrilegio. Il marketing degli ultimi anni ha riabilitato forme pubblicitarie che sembravano entrate in una fase discendente e le ha nobilitate tanto dal punto di vista dell’efficienza di costo quanto da quello dell’efficacia di risultato. Una prova? Basti pensare, come dichiara l’Osservatorio Digitale del Politecnico di Milano, alla crescita di canali quali il programmatic adv, attraverso il quale gli inserzionisti sono in grado di avvalersi di software dedicati per l’automazione della compravendita degli spazi pubblicitari ove distribuire formati diversi di inserzioni tra le quali i tanto vituperati banner (secondo gli Osservatori, il mercato del programmatic italiano si aggirerebbe introno ai €400 milioni). Questi ultimi, poi, sempre più sono al centro di attività di remarketing dinamico finalizzato a chiudere il funnel di acquisto dell’utente, specie in attività quali il recupero di carrelli persi o prodotti visualizzati e poi abbandonati in siti di e-commerce.
L’e-mail marketing, dal canto suo, vive una seconda giovinezza legandosi al tema della marketing automation, dove a partire da un dataset di contatti l’inserzionista è capace di lavorare al cosiddetto “lead nurturing”, ovvero la coltivazione delle relazioni con un prospect al fine di “accompagnarlo” alla compravendita di prodotti o servizi.

 

Quale canale pubblicitario conviene mantenere? Quello che conviene. Con obiettivi chiari e un approccio alla conversion.

Come definire la convenienza o meno di un investimento in pubblicità online? Se cerchi un metodo per capire quanto l’adv sta rendendo al tuo business, sappi che abbiamo già dedicato un articolo a come capire se l’advertising online ti conviene davvero. Va detto, poi, che spesso è facile perdersi tra le tentazioni del marketing digitale. Quest’ultimo è infatti capace di sedurre l’inserzionista con una enorme quantità di metriche: quanti like hanno generato le mie inserzioni? Quante reazioni, commenti e condivisioni? Molte delle metriche che ci vengono presentate possono essere definite “vanity metrics”: difficile prevedere, infatti, in che misura un like ad un post può contribuire alla crescita del mio business.

Diversamente, metriche legate alle visite ad un sito, ai lead generati o agli acquisti fatti possono essere sicuramente più utili per misurare la bontà o meno del mio investimento. Ciò che può fare davvero la differenza è un approccio che sfrutti le leve promozionali del web marketing per creare valore, ovvero per generare vendite e fatturato. Questo approccio è pienamente riflesso nelle pratiche di Inbound Marketing. Attraverso le pratiche Inbound, l’inserzionista non si limita a realizzare e distribuire un’inserzione creativa o un annuncio ben scritto, ma cerca di prevedere un’esperienza post-click studiata su misura per favorire una conversione dall’utente. Si tratti della compilazione di un form di richiesta informazioni, della registrazione a un evento o della vendita di un prodotto, l’advertising funziona quando il marketer crea un valore per l’utente tale per cui egli è disposto a riconoscere all’azienda un valore a sua volta, sia esso espresso nella forma di un lead o di un acquisto effettuato.

Se questo articolo è stato in grado di trasmetterti questo valore, e se soprattutto intendi saperne di più sull’Inbound Marketing e sulle differenze con l'approccio dell'Outbound, leggi il nostro approfondimentoInbound Marketing: cos'è, come e perché usarlo", oppure clicca qui sotto e richiedi l'infografica: buona lettura!

 

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Nicola Roli
Autore

Nicola Roli

Ha lavorato in Digital Dictionary come Social Media Adv e come braccio destro di Polipy. Furtivo e silenzioso, ama i giochi di ruolo e il poligono di tiro. Il suo film preferito è una slowmotion del rovescio di Federer. In orario pasti diventa fervido promotore delle proprie origini mantovane.

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