15' di lettura
La tecnologia ha fatto passi da gigante e con l'avvento di Internet, gli utenti si sono abituati a vivere una nuova quotidianità in cui tutto è (letteralmente) a portata di clic. Se l'avvento di Internet ha avuto un impatto non indifferente nel modo in cui accediamo ai contenuti, i social network hanno decisamente cambiato il nostro modo di rapportarci agli altri e a noi stessi, modificando, per certi versi, la percezione della realtà, sia essa oggettiva o soggettiva.
Nati con l'intenzione di avvicinare le persone e accorciare le distanze, nel corso degli anni, hanno avuto un impatto sempre più considerevoli all'interno delle nostre vite, al punto di renderci quasi dipendenti dalle loro dinamiche di funzionamento.
Se da un lato non possiamo negare l'impatto sociale e i benefici derivanti dalla comparsa dei social network, dall'altro lato dobbiamo fare una riflessione su quello che potremmo considerare come il lato oscuro dei social network e del web in generale.
Inserire frase su user come definizione degli utenti, adottata solo nel mondo delle dipendenze (droghe) e tecnologie.
Secondo lo stesso Istituto Superiore di Sanità, i social network e il web possono essere considerate droghe moderne a tutti gli effetti. Infatti, come emerge all'interno del sito la tecnologia minaccia la memoria a breve termine (...) l'ingresso nelle nostre vite di smartphone e social network ci permettono di essere costantemente connessi, ma aumentano la nostra predisposizione alle distrazioni. Se gli stimoli hanno sempre rappresentato una fonte di 'allenamento' per il cervello umano, troppi stimoli potrebbero invece renderlo meno ricettivo. Il continuo flusso di informazioni, richieste o meno, diminuiscono la nostra capacità di concentrazione e di selezione di ciò che è importante da ciò che non lo è.
Sviluppatori e ideatori di queste nuove realtà digitali, sono ben consapevoli del nostro utilizzo dei social media e spesso lo usano a proprio vantaggio. Quello che molti non notano è che i social media ci rendono vulnerabili non solo ai problemi di privacy e agli abusi online, ma anche ai problemi connessi alla salute mentale: ansia, depressione, suicidio, son aumentati grazie ai social, specialmente tra i più giovani.
Inoltre, sono diventati uno strumento sempre più rilevante nel modo in cui gli utenti si informano, basti pensare a quanto successo in occasione delle elezioni presidenziali del 2016 o al caso Cambridge Analytics.
Tutte tematiche che il nuovo documentario Netflix, “The Social Dilemma", ha messo in evidenza (ancora una volta) alzando il sipario sulle conseguenze nascoste e devastanti derivanti dall'utilizzo inconsapevole dei social media.
Qual è il dilemma alla base del mondo digitale? Cosa dobbiamo fare per "proteggerci" e modificare il modo in cui ci approcciamo a questi canali? Se ancora non hai visto il documentario, ecco alcuni aspetti che dovresti conoscere.
In questo articolo parleremo di:
The Social Dilemma è il nuovo documentario, definito anche docudrama, che in 93 minuti restituisce un'immagine dei social network piuttosto spaventosa, adottando un tono di voce che ricorda vagamente quello utilizzato per un'altra serie ben nota made in Netflix, Black Mirror.
Niente di così importante entra nella vita dei mortali senza portare con sé una maledizione.
Sofocle
Con questa celebre citazione, il regista Jeff Orlowski ci racconta una realtà che può sembrare troppo colossale o astratta perché la si possa afferrare, figuriamoci preoccuparsene, e la ridimensiona a livello umano portando le esperienze e le testimonianze di grandi pentiti del mondo digitale: Tristan Harris, ex dipendente Google e ora presidente e co-fondatore del Center for Humane Technology, Justin Rosenstein, co-creatore del pulsante “mi piace" di Facebook, Tim Kendall, presidente di Pinterest, Jaron Lanier, ricercatore Microsoft, e molti altri ancora.
Attraverso una sapiente alternanza di interviste e rappresentazioni vero-simili della quotidianità di una famiglia tipo, Orlowski articola e mette in scena una narrazione duplice con al centro, da un lato, l'aspetto tecnologico, e dall'altro il comportamento umano.
Dall'invenzione del mi piace come strumento per diffondere gioia e amore alle vanity metrics in grado di gettare i giovani in uno stato di depressione crescente, il documentario racconta di una popolazione sedotta (e dipendente) dalla tecnologia, in cui tutti siamo in balia di forze solo vagamente percepite: gli algoritmi.
Sono proprio loro i celebri accusati di questo documentario: creati da intelligenze umane, gli algoritmi sono intelligenze autonome, progettate per proporre all'utente contenuti capaci di trattenerlo sulla piattaforma in questione, ormai sfuggiti, per certi versi, al controllo dei progettisti stessi.
Algoritmi accusati di polarizzare gli utenti, contribuendo alla creazione di realtà estremamente soggettive dove il concetto stesso di verità viene messo a dura prova, se non addirittura negato. Basti pensare alla rapida diffusione di movimenti quali ad esempio, per citare i più celebri, No Vax, Terrapiattisti &Co.
Per non parlare della rappresentazione creativa degli algoritmi e del loro funzionamento: una versione digitale dell'angelo e del diavolo sulla spalle dell'ignaro utente in balia delle loro scelte.
Se da un lato abbiamo questa narrazione basata sulle esperienze dei nuovi pentiti del mondo digitale, dall'altro lato il documentario presenta, in perfetto stile Black Mirror, la storia di una famiglia americana perfettamente normale, i cui figli vengono risucchiati sempre di più all'interno di questo mondo, fino ad arrivare alla stessa radicalizzazione di uno di questi.
Cosa emerge da questo racconto estremizzato? Un quadro abbastanza verosimile di come, soprattutto i giovani, siano sempre più dipendenti dai social network e dai nuovi dispositivi tecnologici, quasi incapaci di vivere senza.
Insomma, senza aggiungere altri dettagli alla trama, ecco il trailer ufficiale 👇
"Un documentario contro i social network che ci invita a utilizzare i social network per avviare un confronto sul tema". Perché questo documentario, all'apparenza contraddittorio se pensiamo che Netflix stesso utilizza questi meccanismi di persuasione sui propri utenti, ha riscosso un tale successo di critica?
The Social Dilemma non è sicuramente il primo (e probabilmente neanche l'ultimo) documentario prodotto sul tema: “Screened Out", “Lo and Behold: Reveries of the Connected World" e “The Great Hack - Privacy Violata" sono tutti documentari/film che in modo più o meno approfondito hanno già provato a stimolare una discussione costruttiva sull'impatto della tecnologia nelle nostre vite.
Qual è stata la chiave del successo del docu-drama di Orlowski? Come abbiamo accennato prima, il regista sostiene la propria visione drammatica portando le testimonianze dirette. A predire l'imminente collasso della società come la conosciamo oggi, sono proprio ex protagonisti reali (Manager, non stagisti) che hanno contribuito alla progettazione e al successo degli stessi canali che il documentario intende criticare.
Basati su algoritmi progettati per massimizzare il tempo speso sulla piattaforma, gli intervistati raccontano come il potere persuasivo di questi canali sia ormai sfuggito al controllo umano: app, motori di ricerca, social network su cui spendiamo buona parte del nostro tempo, sono diventati terreno fertile per la diffusione di fake news, teorie del complotto e fenomeni sociali come depressione e cyberbullismo, spesso responsabili di suicidi tra i giovanissimi.
A/B test, selezione delle notizie sulla base degli interessi, meccanismi di attrazione, psicologia applicata al comportamento umano, sono solo alcuni dei temi toccati dal regista che intende restituire un resoconto convincente delle logiche alla base del modello di business di questi canali.
Non a caso infatti Orlowski evidenzia come le menti tecnologiche abbiano sviluppato una forma di capitalismo che si nutre dell'umanità. Questa forma potente e mascherata dall'intelligenza artificiale cattura l'attenzione dell'utente, mette a rischio la verità e la democrazia. Una vera e propria bomba sociale se riprendiamo il pensiero di Jaron Lenier, pioniere della realtà virtuale e attivista anti-social.
Ma qual è il dilemma, il problema, a cui fa riferimento il docufilm? Quali sono i principali temi trattati oggetto dei numerosi dibattiti in rete?
Facciamo una premessa, chi lavora nel mondo del digitale e della comunicazione, ovvero un utente abbastanza alfabetizzato sul tema, dovrebbe essere già al corrente delle tematiche toccate, tuttavia vogliamo riprendere alcuni dei concetti chiave proposti:
“Se è gratis, il prodotto sei tu!" . Qualcosa di nuovo? No, ma dobbiamo ammettere che non tutti sono consapevoli di questo aspetto. Internet ha cambiato radicalmente il nostro modo di accedere alle informazioni e tutti vogliono qualcosa gratis, ma raramente ci si chiede quale sia il reale significato e soprattutto, quale sia a questo punto la merce di scambio.
La domanda è: cosa possiamo fare noi? Quale ruolo possiamo giocare in tutto questo? La soluzione è davvero quella di cancellare il proprio profilo da tutti i social network e le app disponibili sul mercato?
Durante questo ultimo anno, e probabilmente anche negli anni a venire, il mondo ha dovuto fare i conti con una crisi sanitaria con pochi precedenti. La tecnologia ha avuto un ruolo fondamentale in questo senso: tralasciando l'impatto che ha avuto nel settore healthcare, le nuove tecnologie abilitate dalla digital transformation al tempo di Covid-19 ci hanno permesso di mantenere i legami affettivi, restare aggiornati e soprattutto continuare a lavorare in assenza di prossimità.
Questo per dire che, come tutto, la tecnologia ha i suoi lati positivi e negativi, ma soprattutto è un mezzo e in quanto tale, è il modo in cui lo usiamo che fa davvero la differenza. Quindi, dopo aver analizzato quanto emerso all'interno del documentario, ora vogliamo fare alcune riflessioni. Quali sono i punti deboli del documentario? Cosa non ha funzionato?
Ed eccoci quindi all'ultimo punto:
Cosa possiamo dire in conclusione? “The Social Dilemma" è efficace nel riportare l'attenzione pubblica su un tema sempre più attuale. Un documentario che invita ad una riflessione profonda anche attraverso il lancio di una vera e propria iniziativa che è possibile approfondire sul sito dedicato thesocialdilemma.com.
The Social Dilemma in certi punti, manca di contesto storico e sociale, come è stato evidenziato, ma, nonostante le lacune, fornisce una buona panoramica sul problema e lascia alcuni spunti di riflessione. Quali?
«Sprofondare nelle sabbie mobili emotive mentre ci si abbuffa di notizie negative», così viene definito da Brian X. Chen sul New York Times, il lato negativo dello scorrimento infinito, in termini più moderni Doomscrolling e doomsurfing. Secondo alcuni ricercatori, il tempo che trascorriasmo davanti allo schermo è aumentato di almeno il 50% durante il lockdown, soprattutto nei bambini di età compresa tra 6 e 12 anni. Ogni giorno finiamo per trascorrere ore e ore a scorrere sui social network. Ora, considerando i tempi in cui viviamo, è molto facile che questo “scorrimento" si trasformi in “scorrimento del giudizio".
Scandali quali ad esempio il caso Facebook-Cambridge Analytics hanno riportato l'attenzione di utenti e classe politica sulle modalità attraverso cui le Big Tech controllano i nostri dati personali e le nostre preferenze. Più che per i tuoi dati, queste società competono per la tua attenzione, che è limitata. Quindi è di questo che ti devi preoccupare. Alla fine della giornata, la tua attenzione è il prodotto venduto agli inserzionisti.
Per ottenere il controllo del tipo di contenuto a cui siamo esposti, dobbiamo “sceglierlo”. La via più facile? Non fare clic sui suggerimenti. La “terrificante" realtà di oggi (se così vogliamo vederla) è che gli algoritmi che gestiscono queste piattaforme digitali si sono evoluti e monitorano la nostra attività. Quindi, per evitare di essere risucchiati in un circolo, dobbiamo iniziare a cercare manualmente ciò che vogliamo, invece di lasciare che gli algoritmi dettino le nostre opinioni e pensieri. Gli inserzionisti usano i social media per influenzare il tuo comportamento. Scegli da che parte vorresti essere influenzato, perché gli algoritmi funzionano in questo modo.
Nell'era dei social network, molti utenti li utilizzano come principale fonte di informazione. Nulla di sbagliato, tuttavia è importante diventare utenti consapevoli, capaci di discriminare le informazioni a cui siamo esposti ed evitare, di conseguenza, l'ulteriore divulgazione di notizie poco affidabili. Partiamo da un dato: le notizie false si diffondono con una velocità maggiore, ben 10 volte superiore alle notizie reali. Questo perché gli algoritmi non sono progettati per discriminare le informazioni: il loro compito è quello di promuovere e portare all'attenzione degli utenti contenuti in linea con i loro interessi. The Social Dilemma ci invita a mettere in discussione ciò che leggiamo online, cercando, dove possibile, di analizzare la fonte e confrontare quanto riportato con altre fonti. In questo modo possiamo acquisire una visione d'insieme, consapevole di entrambi i punti di vista.
Il rischio più grande, in seguito alla visione di questo documentario, è che le persone abbiano l'impressione che l'unica soluzione possibile sia quella di eliminare Facebook o altre piattaforme. Secondo la CNBC infatti molte persone lo stanno già facendo, ma ciò che realmente si chiede è di fare meglio, come suggeriscono i deboli inviti all'azione del film. È importante ricordare a noi stessi che i social media non sono tutti malvagi. Non sono stati progettati per diventare la nuova arma di distruzione di massa. Sono i modelli di business alla base della Big Tech che li rendono “dannosi". Quindi chiaramente, l'eliminazione delle app non rappresenta la soluzione. La risposta, come il film riesce a chiarire in alcuni dei suoi momenti, deve comportare lo smantellamento di alcuni incentivi aziendali che alimentano l'intero sistema.
Cosa possiamo imparare in generale? Non possiamo cambiare il mondo della Big Tech dall'oggi al domani. Possiamo però iniziare a proteggere noi stessi, passo dopo passo, dal piccolo, attraverso un'educazione e una consapevolezza del cambiamento del mondo digitale.