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5' di lettura

 

Zig Ziglar, scrittore e speaker motivazionale statunitense, sosteneva che nella vita puoi ottenere tutto quello che vuoi se aiuti le altre persone a ottenere tutto quello che vogliono.

Le imprese non dovrebbero dimenticarlo: mettere al centro le persone (siano esse clienti, dipendenti o potenziali candidati) significa offrire soluzioni che assicurino la piena rispondenza tra i driver interni del valore e le esigenze dei pubblici, per essere scelti ed emergere in uno scenario competitivo in continua evoluzione.

In quest’ottica, anche le strategie che si snodano nell’ambito dell’employer branding possono diventare uno strumento a vantaggio dell’immagine aziendale, aumentando le probabilità dell’impresa di essere considerata un ottimo datore di lavoro.

In che modo? Il segreto è far leva sui punti di forza alla base della value proposition e sull’approvazione delle figure già presenti in organico.

Il concetto di employee advocacy è infatti molto simile a quello di customer advocacy: un collaboratore soddisfatto non sarà soltanto una risorsa più coinvolta, ma un ambassador capace di influenzare le conversazioni peer-to-peer relative alla qualità delle esperienze lavorative offerte dall’impresa; in logica inbound, contribuirà a diffondere una percezione favorevole del brand-azienda con un impatto determinante sulle condotte strategiche che puntano ad attrarre e reclutare giovani talenti.

Se si chiedesse a un campione di universitari sotto i 25 anni dove vorrebbero essere assunti alla fine del loro percorso di studi, tra le risposte più gettonate non mancherebbero certo società come Google, Apple o Microsoft. In effetti il loro potere parla da solo, così come il successo dei dipendenti inseriti in un percorso di crescita evidentemente attrattivo.

Queste e molte altre aziende non hanno smesso di promuovere online i fattori critici di successo che le hanno consacrate come modelli di riferimento anche sul mercato del lavoro; continuano a rafforzare la reputazione di cui godono all’interno e all’esterno, e in molti casi rappresentano il sogno, nemmeno troppo proibito, delle nuove generazioni.

Ecco alcuni esempi di employer branding che ci sono sembrati convincenti:


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I contenuti dei canali Life at Google

Google ha fatto scuola anche in materia di talent acquisition, mostrando come lo storytelling affidato alla voce dei dipendenti possa essere un’arma potente (e in genere poco dispendiosa) per far luce su cosa significhi appartenere davvero a una realtà lavorativa.

Una ricerca condotta da LinkedIn nel 2016 lo ha dimostrato: il tasso di engagement raddoppia quando l’azienda viene presentata dalle figure che la vivono dall’interno, perché il pubblico è solitamente più propenso a credere all’autenticità dei messaggi trasmessi e all’identità di marca che ne emerge.

Non a caso, sul canale YouTube Life at Google (che è anche un blog, un profilo Instagram e una pagina Facebook) i dipendenti raccontano in prima persona il loro lavoro e gli elementi cardine della cultura aziendale, e veicolano informazioni utili sui processi di recruiting e sulle competenze richieste, diffondendo un’immagine più inclusiva’ dell’intera società.

I contenuti sono racchiusi in una serie di sezioni dal titolo:

  • Preparing to Apply or Interview at Google
  • Working at Google
  • Meet Googlers Making an Impact
  • Google Offices Around the World.

Se sei curioso di saperne di più, dovresti dare un’occhiata a questo video!

 

 

La comunicazione emozionale di Animal Human Society

Coinvolgimento emozionale ed empatia caratterizzano la comunicazione di Animal Humane Society, ente no-profit attivo nell’area di Minneapolis-Saint Paul che si batte da anni per aiutare gli animali domestici maltrattati o abbandonati a loro stessi nei sobborghi delle metropoli americane.

In questo caso si va ben oltre l’employer branding: la descrizione di una giornata-tipo in uno dei centri dell’organizzazione apre la strada al racconto diretto del perché più profondo che anima tutti i medici, i volontari e i semplici sostenitori, intenzionati a restituire una vita dignitosa e una nuova famiglia ai loro amici a quattro zampe.

A beneficiarne è la community nel suo complesso, perché è molto probabile che un’emozione autentica venga ricordata, apprezzata e condivisa.

Difficile pensare il contrario dopo aver guardato il video A Day in the Life of Animal Humane Society.

 

 

La campagna Welcome to the Group di BCG

Le generazioni native digitali possono davvero fare la differenza quando si parla di competenze, portando una ventata d’aria fresca anche negli ambiti di business più tradizionali.

Boston Consulting Group ne è ormai consapevole; a partire dal 2016, dopo il rinnovamento della sede milanese e dell’identità visuale, ha compreso che per attrarre i candidati più idonei avrebbe dovuto rivoluzionare la percezione stessa del lavoro in azienda, legato a un’immagine stereotipata della consulenza strategica ad alti livelli.

Nella campagna global del 2019, Welcome to the Group, nulla è lasciato al caso: dall’età media dei consulenti-ambassador, fino agli abiti casual e alle pose decisamente informali dei protagonisti dell’iniziativa, il volto più autentico della nuova organizzazione.

Foto e contenuti di testo sono stati veicolati sui canali prediletti dalle generazioni Y e Z (sul sito web, ma anche su Facebook, Instagram e LinkedIn), e come ha spiegato il Managing Director Massimo Portincaso, nascono dal desiderio di comunicare in maniera più spontanea con il loro target di riferimento, come fossero un grande brand consumer, valorizzando i punti di forza che hanno distinto negli anni il Gruppo BCG: diversità, innovazione, sviluppo continuo.

 

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Le Snaplications e i McMistakes di McDonald's

I social media sono un ottimo canale per scoprire nuove risorse. LinkedIn ne è la prova lampante, ma l’utilizzo creativo di altri punti di contatto può massimizzare gli sforzi del reparto HR con risultati sorprendenti.

 Nel 2017 McDonald’s Australia ha lanciato sulla piattaforma Snapchat una serie di annunci-video (le cosiddette Snaplications) in cui i membri del personale raccontavano la loro esperienza e invitavano gli under 25 a unirsi alla catena di fast food più famosa al mondo.

 Le candidature potevano essere inoltrate interagendo direttamente con l’annuncio: dopo aver cliccato sulle Snaplications, centinaia di utenti hanno inviato uno snap di presentazione al profilo del brand e al responsabile del ristorante più vicino, utilizzando un filtro a tema con cappellino e divisa.

 Due anni dopo l’azienda si sarebbe distinta ancora una volta per il suo impegno nel ricercare giovani risorse prive di esperienza. Students Wanted. No experience needed, si leggeva sotto alle immagini affisse nei McDonald’s di tutto il Belgio, frutto di una campagna iconica dove i prodotti cult della catena sono stati presentati in modo davvero insolito.

 Alla base dei cosiddetti McMistakes, l’idea che dagli errori possano nascere grandi opportunità di crescita e di cambiamento. Ne abbiamo parlato anche in un articolo sulle migliori creatività del mese di luglio. Geniale, non trovate?

 

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Per intercettare i giusti candidati, ogni azienda dovrebbe tradurre la sua strategia di employer branding in un’efficace strategia di posizionamento comunicativo sui canali digitali (suggeriamo in proposito l’articolo "Inbound Recruiting ed Employer Branding secondo Digital Dictionary").

Non servono budget stellari, e non è necessario avere una notorietà che funga di per sé da naturale fattore attrattivo; l’immagine dell’organizzazione come ambiente di lavoro ideale può essere costruita partendo da zero (a patto che si abbia un reale valore da promuovere), e va coltivata e implementata nel tempo: spetta solo a voi scegliere come!

 

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