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4' di lettura

Il lavoro da remoto, la digitalizzazione dei processi, l’aumento della richiesta di professionisti con competenze digitali e la configurazione di nuovi spazi lavorativi sono aspetti con cui le imprese hanno ormai imparato a confrontarsi quotidianamente.

La crisi pandemica, inoltre, ha ulteriormente evidenziato alcune lacune proprie delle imprese, rendendo i lavoratori sempre più coscienti dell’importanza di vivere un’esperienza professionale positiva e, di conseguenza, sempre più esigenti nella scelta del proprio datore di lavoro fino a diventare una vera e propria parte attiva del processo di selezione. 

Di fronte a questa evidenza, l’employer branding diventa allora la disciplina chiave per tutti quei datori di lavoro che desiderano posizionarsi efficacemente nel mercato, essere attrattivi verso potenziali nuovi collaboratori e fidelizzare quelli già in essere.

 

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Come definire quindi una strategia di comunicazione di employer branding e come strutturare una proposta di valore a supporto del mantenimento e dell’attrazione dei talenti in impresa? 

 

Partendo da queste domande Digital Dictionary ha svolto una ricerca quantitativa, condotta con lo scopo principale di comprendere come, nel new normal post-pandemico, la comunicazione della strategia di employer branding deve evolvere per posizionare l’impresa come un valido datore di lavoro.

 

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In particolare, la ricerca “Employer Branding - New Normal” ha raccolto evidenze rispetto a cinque specifici obiettivi di indagine:

  1. quali sono i cambiamenti nell’organizzazione aziendale accelerati dalla crisi pandemica;
  2. quali sono i fattori abilitanti e ostativi dei cambiamenti nell’organizzazione aziendale che potrebbero definire una nuova cultura del lavoro nel new normal post-pandemico;
  3. quali sono i modelli, i principi, le fasi e gli elementi cardine da considerare per definire e attuare la strategia di employer branding ed elaborare l’Employee Value Proposition (EVP) aziendale;
  4. quali sono i modelli, le tecnologie e gli strumenti utili a supporto della definizione e dell’attuazione della comunicazione esterna della strategia di employer branding a supporto dei processi di recruiting;
  5. come la comunicazione interna influenza la reputazione dell’impresa come valido datore di lavoro.

Cosa ne è emerso?

Come anticipato, la crisi pandemica ha accelerato alcuni cambiamenti organizzativi. Tra i principali si possono citare: il lavoro da remoto, la domanda di competenze soft e le nuove configurazioni degli spazi di lavoro.

Lavorare da remoto, però, non è sinonimo di lavorare in modo smart. E proprio per questo è nata, in successione, una nuova sfida per le imprese: scardinare i modelli organizzativi ottocenteschi per abbracciare la cosiddetta “nuova normalità”.

Una normalità flessibile e capace di reagire prontamente agli imprevisti, reinventandosi, ma rimanendo sempre fedele a sé stessa. In questo senso, dai risultati della ricerca emerge come gli stili di leadership vigenti siano allo stesso tempo il principale fattore abilitante e ostativo ai cambiamenti, seguiti dalla maturità digitale delle persone e dalle caratteristiche del modello organizzativo.

Un valido datore di lavoro, dunque, è colui che supera le nuove sfide contestuali: scardinare le prassi consolidate, quando vi è la necessità, per abbracciare la nuova normalità.

 

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Le imprese rispondenti erano preparate ad affrontare la crisi pandemica?

 

Non del tutto, ma hanno dimostrato di aver compreso l’importanza del cambiamento aziendale, organizzativo e comunicativo.

Dalla ricerca, infatti, emergono forti lacune nelle imprese partecipanti, ancora acerbe nella formalizzazione di strategie strutturate di employer branding e di comunicazione a suo supporto, ma sempre più consapevoli del loro valore.

In questo senso, emerge un forte potenziale di crescita per quanto riguarda la formalizzazione strategica: oltre la metà delle imprese partecipanti non ha definito una strategia di employer branding aziendale e non ha elaborato strategie di comunicazione interne ed esterne a suo supporto.

Di fatto, solo un quarto del totale delle imprese rispondenti sta già attuando tutte e tre le strategie. Ma un potenziale inespresso si manifesta anche nelle poche imprese che effettivamente hanno formalizzato una strategia di employer branding.

  1. In primo luogo, la definizione di tale strategia non risulta essere stata declinata secondo i modelli presenti in letteratura;
  2. In secondo luogo, sebbene metà dei rispondenti percorra le fasi per la definizione e attuazione della strategia rinvenute in letteratura, alcune di esse non sono state diffusamente prese in considerazione, tra cui la misurazione delle performance e l’analisi contestuale.
In questo senso, allora, si manifesta una sorta di autoreferenzialità delle imprese partecipanti, che si mostrano più focalizzate sul contesto interno e sull’attuazione pratica, e meno sulla valutazione dei rendimenti.

Dalla ricerca, inoltre, risulta chiaro come cultura e valori aziendali siano gli elementi chiave per una strategia di successo: asset intangibili, non replicabili, capaci di distinguere l’impresa nel mercato, differenziarla dai concorrenti e farla percepire più o meno affine al target.

I lavoratori, soprattutto quelli delle nuove generazioni, oggi non cercano più solo un mero vantaggio economico da parte delle imprese: la remunerazione non è più il principale driver nella valutazione di un’offerta di lavoro.

 

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Cosa si aspettano quindi i professionisti dall’Employee Value Proposition aziendale?

 

Politiche di sviluppo grazie alle quali accrescere le proprie competenze e intraprendere un percorso di crescita professionale, ma anche un ambiente di lavoro positivo e una comunanza di valori con l’impresa.

Un valido datore di lavoro, allora, è anche colui che eroga percorsi di crescita e di formazione professionale personalizzati. Ma non solo:

 

un valido datore di lavoro ascolta le necessità delle proprie persone, comprende la loro fase di vita, e declina un’offerta personalizzata che sia riconosciuta di valore dai collaboratori.

 

Di fatto, se la componente umana è un asset riconosciuto di estremo valore per il successo sul mercato, le imprese partecipanti alla ricerca si sono dimostrate ancora poco pronte all’attrazione e alla fidelizzazione dei collaboratori.

Un valido datore di lavoro, però, investe nel mantenimento delle proprie persone grazie sia alla comunicazione interna sia a specifiche iniziative volte ad incrementare il livello di coinvolgimento, stimolando il senso di appartenenza.

 

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Come comunicare tutto questo?

 

Tra i principali strumenti usati dalle imprese rispondenti spiccano i social media professionali, come LinkedIn, e il sito web aziendale.

Al contrario, i social media non professionali, come Facebook e Instagram, sono meno diffusi: le imprese partecipanti sembrano preferire uno spazio professionale che permette un contatto profilato. Nonostante la crisi pandemica e la difficoltà di svolgere eventi in presenza, permane anche l’importanza di un contatto di persona, attraverso la partecipazione alle fiere del lavoro e i career day universitari.

Oggi per essere competitivi nella battaglia dei talenti, sopravvivere alla concorrenza e attrarre potenziali nuovi candidati di talento, serve dotarsi di una strategia formalizzata e comprendere a pieno quali siano i bisogni e le aspettative dei propri collaboratori per declinare un’offerta che sia, per loro, davvero di valore.

Se è vero che il lavoro è un’esperienza chiave nella vita delle persone, e che il tempo speso svolgendo un’attività è unico e non replicabile, allora oggi più che mai le imprese dovrebbero rendere il tempo lavorato nel proprio contesto organizzativo degno di essere vissuto. Solo così l’esperienza di lavoro diventa degna di essere vissuta. Solo così è degna di essere scelta. 

 

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