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6' di lettura

Dìvide et ìmpera” era il detto dei latini, che oggi può essere rivisto in “condìvide et ìmpera”: un brand riesce a generare valore solo se ciò che offre è trasformabile in un meta-tema narrativo.

In poche parole, se dà la possibilità alle persone di condividere la propria esperienza. Questo è vero tanto per i clienti finali quanto per i collaboratori in azienda, in grado di influenzare le conversazioni peer-to-peer e supportare l’impresa nella battaglia dei talenti.

 

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La centralità dell'esperienza (memorabile) condivisa, anche nei contesti di lavoro

In un’epoca in cui la tecnologia e i nuovi scenari digitali dominano sia l’orizzonte personale che quello professionale, ricoprendo un ruolo ulteriormente stressato dalla pandemia da Covid-19, è fondamentale spostare l’attenzione su un altro cambiamento che sta avvenendo nella nostra società: lo shift dall’economia di prodotto a quella dell’esperienza condivisa.

Tutto è esperienza, tutto è condivisione. Non solo nelle dinamiche relazionali verso i potenziali clienti, ma anche per quanto riguarda i collaboratori d’impresa. Per un nativo digitale, abituato a condividere storie sulla propria vita personale, è quasi naturale condividere una storia sulla propria esperienza lavorativa.

 

Il passaparola digitale, sempre più rilevante nel condizionare le decisioni delle persone, irrompe anche nei contesti lavorativi e potrebbe avere un impatto significativo sulla capacità di un’impresa di attrarre e trattenere i migliori talenti.

 

McKinsey & Company afferma che questo non è il momento di guardare agli utili del conto economico, ma è semmai il momento di ripensare i modelli di business per il 2021 e oltre, rafforzando la propria presenza a livello reputazionale nei confronti di tutti gli stakeholder: collaboratori, investitori, fornitori e non solo clienti finali. La reputazione di un datore di lavoro passa anche dalla qualità del tempo che una persona può vivere nel contesto lavorativo.

 

L’esperienza oggi si condivide, si racconta sui canali digitali, può diventare virale e condiziona le scelte, anche quelle relative a un posto di lavoro.

 

Lo confermano i dati di Hootsuite, secondo cui il 53% delle persone tende a fidarsi più di un collaboratore che di un amministratore delegato. Ma non solo: LinkedIn sostiene che le persone in cerca di lavoro reputano i dipendenti attuali come la fonte di informazioni più affidabile su un’impresa. 

Ecco perché la comunicazione del brand come valido datore di lavoro, in un momento dove il lavoro è minacciato da una situazione di crisi senza precedenti, deve portare a riflettere sull’importanza dell’employer branding e sul valore dell’employee advocacy.

 

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Employer branding e brand reputation: alcuni suggerimenti utili per attrarre talenti in impresa

Quali sono, quindi, le strade da seguire affinché il proprio brand rafforzi la credibilità verso tutti gli stakeholder? Eccone almeno tre

  1. Una prima azione si concentra nel presidio efficace dei motori di ricerca in modo organico, ossia attraverso un’adeguata strategia di contenuto per comunicare l’employer branding dell’impresa. In Digital Dictionary lo abbiamo fatto per Alleanza Assicurazioni, azienda leader del settore, alla ricerca di giovani talenti da inserire nella sua rete di consulenti assicurativi. Abbiamo strutturato una strategia di inbound recruiting e di talent acquisition - attraverso la realizzazione di un blog sulla tecnologia di HubSpot - per aiutare i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Il blog racconta i temi per loro più rilevanti e contribuisce a ridisegnare la figura del consulente assicurativo, facendo crescere la reputazione di Alleanza come valido datore di lavoro e aumentando le candidature in target. 
  2. Una seconda strada percorribile consiste nel presidiare i canali comunicativi paid, a pagamento. Utilizzare media come Indeed e LinkedIn permette di condividere la cultura aziendale e di rafforzare l’attrattività del brand per le opportunità di lavoro che può offrire. 
  3. Un’ulteriore opzione praticabile consiste nello sviluppo di strategie di employee advocacy. Non bisogna sottovalutare il potere delle relazioni sociali dei collaboratori d’impresa. LinkedIn afferma che i dipendenti tendono ad avere 10 volte più follower dell’azienda nella quale lavorano, e che sebbene solo il 2% circa ne condivide i post, tali azioni sono responsabili fino al 20% dell’engagement complessivo.

 

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L'attivismo dei brand nella lotta al Covid-19

 

Per trasformare i collaboratori d’impresa in veri e propri ambassador del brand, non basta girare qualche video emozionale pieno di buone intenzioni: servono azioni concrete.

 

Gian Luca Rana, amministratore delegato del Pastificio Rana, durante il lockdown ha varato un piano straordinario di aumento salariale del 25%, come speciale riconoscimento dell’impegno dei 700 dipendenti che hanno continuato a lavorare, garantendo la continuità negli approvvigionamenti alimentari. Ma non solo: l’impresa ha anche istituito un ticket mensile straordinario di 400 Euro per le spese di babysitting e una polizza assicurativa a favore di tutti i dipendenti in caso di contagio da Covid-19. Queste azioni hanno avuto un risvolto importantissimo non solo nell’elevare la brand reputation, ma anche nel favorire le conversazioni tra pari e l’employee advocacy in merito all’ambiente di lavoro. 

Un altro esempio illuminante è Giorgio Armani, che durante il blocco totale ha donato 2 milioni di Euro in favore della Protezione Civile e di alcuni ospedali. E a partire dal 26 marzo, i suoi stabilimenti italiani hanno iniziato a produrre camici per il personale sanitario. Quello stesso senso di responsabilità che lo ha guidato in queste azioni lo ha spinto a rivedere alcuni principi del mondo della moda:

 

questa crisi è stata anche un'opportunità per rallentare e riallineare tutto; per disegnare un orizzonte più vero; per ridare valore all'autenticità. [...] Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma ci offre anche la possibilità, unica davvero, di aggiustare quello che non va, di riguadagnare una dimensione più umana.

 

Una dichiarazione d’intenti di questo tipo, unita alle azioni concrete che Armani ha messo in campo durante il momento più critico della pandemia, hanno contribuito a rafforzare la reputazione aziendale, facendo desiderare a migliaia di giovani di poter entrare a far parte di un’impresa dai valori così forti.

Una logica conseguenza di quanto appena scritto è che un'efficace strategia di employer branding oggi non può più essere solo auto referenziale, attraverso il lancio di stimoli comunicativi, ma deve essere in grado di abilitare le conversazioni tra pari sulla rilevanza del brand come valido datore di lavoro. 

 

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La rivoluzione digitale all'interno delle organizzazioni

Oggi la parola chiave di riferimento è digital transformation, sia per ciò che concerne gli ambienti lavorativi, sia per le modalità di organizzazione e coordinamento del lavoro.

Soprattutto negli ultimi mesi sono entrati nel panorama lavorativo aspetti come lo smart working, la necessità di trasparenza e condivisione delle informazioni, l’affermarsi di nuove skill (hard e soft) e l’emergere di nuovi modelli di riferimento sempre più integrati tra vita lavorativa e vita professionale (work-life integration). Aspetti che di certo sono stati accentuati dalla pandemia, ma che trovano il loro fondamento nel cambiamento generazionale a cui stiamo assistendo.

 

La sfida per le imprese sarà quella di integrare i nuovi stili di vita delle persone - soprattutto quelli delle nuove generazioni - all’interno di una gestione manageriale aperta al cambiamento.

 

Il mutamento organizzativo che è avvenuto è destinato a durare ed apre a nuove opportunità. Per questa ragione, Digital Dictionary, Great Place to Work e l’International Advertising Association hanno deciso di lanciare un’iniziativa attuale e ambiziosa a cui hanno aderito moltissime altre imprese e professionisti: lo sviluppo del primo Phygital Work Manifesto.

 

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Tentacle Magazine: orientarsi nell'oceano digitale

Tentacle Magazine è il nuovo prodotto editoriale di Digital Dictionary ideato in una logica omnicanale per stimolare riflessioni strutturate su come affrontare le sfide indotte dal cambiamento imposto dalla trasformazione digitale, in una prospettiva di globalizzazione che tenga conto degli stimoli e degli impatti da questa derivanti.

Gli articoli proposti coniugano il rigore del metodo con un taglio editoriale fresco, ma sempre incline a mettere in evidenza le implicazioni manageriali che possono essere desunte dai temi trattati.

Il primo numero nasce nel pieno della seconda ondata del coronavirus e non può non tenerne conto. Non mancheranno riflessioni sul settore sanitario e sui trend digitali che ci attendono per il prossimo anno. Guardiamo avanti.

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Francesca Fantini
Autore

Francesca Fantini

Nata da un felice connubio tra Italia del nord e del sud, possiede il gene prepotente della curiosità. Copywriter di professione, storyteller per vocazione, vegetariana per scelta, nel tempo libero fa esperimenti ai fornelli e acquista più libri di quanti potrà mai leggerne.

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